Gli anni ’80

Albergo Adele e Bormio negli anni ottanta

Anni 80. Nel 1980 Luisa sposa Giovanni Bedognè, energico, ferreo e determinato valtellinese, originario di Buglio in Monte. Dal loro matrimonio nasceranno nel 1981 Stefano (Scasci) e nel 1984 Cinzia.

I primi anni ’80 sono gli anni in cui Silvana e Luisa, con il sostegno e l’aiuto dei rispettivi mariti, decidono di prendere le redini della struttura. Come ogni cambio generazionale, all’energia delle figlie si contrappone il timore dei genitori, che seppur consapevoli dei valori tramandati alle figlie, vedono con preoccupazione i cambiamenti in atto e, gelosi del loro passato, temono il vanificarsi dei sacrifici fatti. In particolare per Oreste e Giovanni, l’iniziale diffidenza sarà a tratti anche aspra ma, con il tempo, renderà ancora più forte e unita la famiglia.

Superate le incomprensioni, la voglia di impegnarsi e l’energia della nuova generazione accelera il continuo rinnovamento dell’Albergo Adele che in pochi anni vede l’installazione dell’ascensore, il rinnovo del bar, della sala lettura e, soprattutto, la progressiva riduzione del numero di stanze (per dotarle tutte di bagno privato). Dalle 45 stanze del 1964 si arriverà a 29, anche per la difficoltà di modificare l’architettura e di non poter modificare in maniera sostanziale la struttura.

In quegli anni ’80 all’interno dell’albergo, Silvana e Luisa ricavano due piccoli appartamenti per offrire un po’ di riservatezza a una vita passata tra gli ospiti e che vedranno crescere Francesca, Stefano e Cinzia circondati da genitori ed estranei, con il tempo diventati zii e nonni adottivi.

Il turismo continua a evolversi, Bormio diventa una rinomata località delle Alpi e lo sci, che negli anni ‘70 ha avuto il suo boom, la fa da padrone. Gli ’80 sono gli anni delle grandi agenzie di viaggio straniere e dei primi Campionati del Mondo di sci che, nel 1985, porterà Bormio e la sua pista Stelvio nell’olimpo dello sci, grazie anche ai successi del grande campione svizzero Pirmin Zurbriggen.

Con la spinta dei Campionati del Mondo, Bormio vede il rinnovamento della cabinovia Bormio-Ciuk e la nascita delle sue principali strutture polifunzionali: Palaghiaccio e Pentagono. Strutture moderne e avveniristiche, progettate dall’indimenticato Aldo Mevi, amico e cugino di famiglia. Continua sempre l’espansione edilizia del paese e delle sue seconde case. Il turismo resta la principale economia del territorio anche se va calando l’iniziale spinta ed energia degli anni ’50 e ’60, che hanno portato nel paese un sostanziale benessere diffuso.

Racconta gli anni ’80 uno splendido testo tratto dalle conclusioni del libro: Bormio – L’Alta Valtellina di oggi e di ieri – Un turismo diverso nel Parco dello Stelvio – G. Peggion, G. Ramazzotti – 1986.

“Oggettivamente il turismo vale per questa zona quanto l’intraprendenza commerciale degli albori della sua storia. Gran lavoratore, ambizioso, diffidente e risparmiatore, dotato di fermezza d’animo, buonsenso e senso degli affari (sono tutte autodescrizioni), il bormiese ha risolto in questa direzione l’equazione della sopravvivenza. Meglio, dell’agiatezza. Non mancano casi di emarginazione sociale, ma il benessere è in genere ben distribuito. In città si può studiare sino al liceo (scientifico o artistico) che è sorto per iniziativa privata accanto ai locali del celebrato Ginnasio gesuitico. Poi i giovani vanno anche all’Università, altrove. Non molti tornano, anche per i diplomati non ci sono gran che prospettive. Ma questa è storia nazionale. Limitatissimo l’artigianato (ferro battuto e legno), (rileggere anni ’50 ndr) l’agricoltura va aiutata, cioè è in crisi. In abbandono i maggenghi da qualche decennio, la terra non rende più, dicono i più giovani che va trattata “con mentalità industriale” e mostrano qualche interesse. Ma anche ciò è storia nazionale. Pubblico impiego e impiego nelle piccole aziende sono le ultime alternative al turismo che ovviamente comporta tutta una serie di attività indotte, attorno alle quali si muove l’economia dell’intera zona.

Bormio ha strutture e clima per una sua visitazione più diluita nel corso dell’anno. Lo abbiamo detto anche noi, portando l’immaginario escursionista in giro per la regione e il Parco Nazionale dello Stelvio seguendo itinerari estivi ed invernali di uno sviluppo amplissimo, fornendogli notizie particolareggiate sulle svariate attività alternative allo sci che qui può svolgere, facendo parlare anche le pietre di Bormio e delle sue valli di storia, arte, cultura. Ma al termine di questa lunga scheda di presentazione sono legittime alcune considerazioni.

Quale turismo? Una norma degli antichi Statuti, per certi versi curiosa, imponeva che davanti al carro ci fossero i buoi. E fin qui lo consiglia anche un noto proverbio. Ma aggiungeva che davanti ai buoi (proprio davanti e non di fianco o, peggio, dietro) ci doveva essere sempre, pena dure sanzioni, anche il conducente. Fuor di metafora, dello stesso avviso sono i responsabili della cosa pubblica degli anni Ottanta: “Occorre – affermano – gestire il turismo come fosse un azienda: con accortezza, intelligenza, spirito di iniziativa, fantasia, creatività, preveggenza. La natura sulla quale il turismo si fonda deve essere a tutti i costi difesa”.

Il concetto di natura da preservare non è riferito solo al territorio. Ci sono i beni artistici che vanno curati con un occhio di riguardo in una zona in cui non è infrequente trovare reperti del primo millennio. Una loro visitazione completa comporta giornate. Sono chiese, case nobiliari, opere civili ed architettoniche, musei: da Cepina a Pedenosso, Uzza e Teregua. Passando per Bormio, naturalmente. Non sempre i restauri sono stati fatti a regola d’arte. Ma è importante che ci si voglia dar da fare come i recenti studi per la salvaguardia del centro storico bormino dimostrano. […]

Il dialetto sopravvive, rompe il discorso qua e là “in buona lingua”, ma i vecchi sul ponte di Combo storcono la bocca; per antica saggezza avvertono che con la parlata locale se ne va anche un po’ di memoria di se stessi.

Il concetto di natura da preservare comprende dunque anche l’elemento umano con la sua cultura, gli usi e i costumi. Sono sostantivi sicuramente da conciliare con la necessità di reperire risorse quotidiane per un esistenza dignitosa; certo correrebbero gravissimi rischi davanti ad un turismo ciecamente massificato, veicolo temporaneo di valori diversissimi e a volte prevaricanti: per una metà colonizzatore, per l’altra pretenzioso sognatore di impossibili paradisi primordiali. Il programma allora diventa obbligato per gli amministratori, che infatti aggiungono: “Bisogna evitare di cadere nella tentazione del “tutto subito”, che porterebbe incontrollabili conseguenze al territorio, farebbe della montagna una “dependance” delle città, creerebbe per le generazioni future solo problemi e difficoltà.

E ancora una volta il metodo di lavoro è quello antico, questo sì primordiale, incontaminato, inderogabile: la conoscenza. Di se stessi e degli altri. Noi ci siamo presentati con la ferma illusione di essere serviti per un turismo più maturo e responsabile.” (Bormio – L’Alta Valtellina di oggi e di ieri – Un turismo diverso nel Parco dello Stelvio – G. Peggion, G. Ramazzotti – 1986).

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