Salita allo Stelvio, parte III. Descrizione romanzata della strada dello Stelvio da “la Fontanecia” alla galleria del Pont de fer (Bagni Vecchi)…
Da ” la Fontanecia” alla galleria del “pont de fer” – Dalla fontanaccia alla galleria del ponte di ferro (Bagni vecchi).
Sono un po’ deluso, sconfortato, quasi arrabbiato. Non so con che immaginazione, utopia o diritto ho pensato di poter essere l’unica persona a poter godere della inusuale chiusura della Strada dello Stelvio. Quell’immagine in lontananza, quella sagoma umana scomparsa dietro la curva mi ha prepotentemente risvegliato e riportato alla realtà. Cerco di consolarmi pensando che se non sarò il solo, almeno non saremo in molti.
Il sole è spuntato da poco, la brezza del mattino è ancora frizzante.
Considerato che la strada resterà chiusa per tutto il fine settimana, chi vorrà salire se la prenderà un po’ più con calma, mi dico. Per il momento, qui, sono solo e indisturbato. Posso osservare ciò che mi circonda, meditare, fare pace con me stesso e godere appieno del mattino.
Il ripido rettilineo che sto attraversando sembra fare da confine tra la vegetazione di larici, a valle della strada, e quella di pini mughi, a monte. Più in alto, l’imponente bastionata rocciosa del monte Reit cattura lo sguardo e domina imperiosa i suoi immensi ghiaioni sottostanti. Il sole, a quest’ora del mattino, colpisce trasversalmente questo angolo della montagna e ne esalta appieno, frastagliature, avvallamenti e pendenze. A render quasi misterioso e spettrale l’ambiente si aggiunge l’umidità del terreno che, riscaldato dal primo sole del mattino, sembra quasi fumare. I consueti colori grigio azzurro dei ghiaioni e il giallo tenue della parete dolomica sono solo un lontano ricordo. In quest’ora del giorno, padroni di questo lembo di terra sono solo il chiarore e l’oscurità. Un mondo di contrasti di luce sostituisce con effetto il più frequente e noto gioco di colori.
Una serie di piccole curve mi portano in prossimità del ponte dei Bagni Vecchi, un tempo chiamato “pont de fer” (ponte di ferro). Questo scenografico manufatto, con arco a tutto sesto, ha sostituito quello che inizialmente era un ponte di ferro e che, successivamente alla sua rimozione, fu ricollocato a Bormio come primo “ponte dell’Eden”.
Camminare su questo ponte mi fa sempre un certo effetto. Molte volte in passato mi sono soffermato in questo luogo a chiacchierare con gli amici arrampicatori. Sovente da questo ponte ho osservato i curiosi fenomeni atmosferici del microclima Bormino come, ad esempio, le nubi cariche di pioggia provenienti dalla Valdidentro che puntano diritte, veloci e minacciose verso la falesia dei Bagni Vecchi. Più volte, da ragazzo quelle nubi mi hanno fatto abbandonare la scalata, gettare l’attrezzatura alla rinfusa nello zaino e correre veloce verso casa. Col tempo, anche con l’aiuto di sapienti amici, ho imparato ad osservare quelle basse nuvole e quei fenomeni atmosferici. Ho imparato a riconoscere l’intensità della pioggia e, più volte, ho notato come le perturbazioni, all’altezza dell’abitato di Premadio cambiassero improvvisamente direzione. Le nubi minacciose, lanciate fino a pochi istanti prima verso la Reit, poche centinaia di metri prima dell’impatto svoltavano improvvisamente verso sud. La pioggia si spostava sulla Valdisotto e la Reit restava miracolosamente asciutta. Questo fenomeno atmosferico, all’apparenza legato alla fortuna, è invece frutto della scontro tra la perturbazione e la corrente d’aria fredda della Valle del Braulio. A quest’ultima si aggiunge anche la “bolla di aria calda” che si genera sulle rocce e sugli assolati ghiaioni. Queste due correnti termiche, calda e fredda, creano quindi una sorta di diga d’aria, impenetrabile per perturbazioni lievi o passeggere.
Altre volte, invece, passeggiando su questo ponte mi sono soffermato ad ammirare la guglia rocciosa che solitaria fa da gendarme alla galleria. Di fronte a lei, monumentali targhe in latino sono poste a memoria di questi luoghi. Spesso ho beffardamente sorriso pensando a come questo balcone panoramico ben raffigurato nelle stampe d’epoca, sia praticamente sconosciuto alla maggior parte dei moderni utenti della strada. Per gioco, mi piacerebbe realmente sapere quante persone hanno notato nel loro passaggio la guglia e le targhe. Se la mia sensazione è reale o solamente una mendace supposizione.
Entro nella galleria. Improvvisamente sono al buio. In realtà questo tunnel è lungo solo poche decine di metri e buio non è. Sono i miei occhi che si devono ancora adattare all’oscurità. Pochi secondi mi bastano per ambientarmi e notare la tiepida luce arancione dell’illuminazione. Guardando terra resto sorpreso dal canale di scolo dell’acqua piovana. La studio con maggiore attenzione e noto che è realizzata in lastricato di pietra, “rìc” chiamiamo a Bormio questo tipo di pavimentazione. Sopra di esso sono posati circa una decina di centimetri di asfalto. Non so se quella in sasso sia la pavimentazione originaria ma a me piace pensare che sia così.
Con gli occhi da poco abituati all’oscurità sono di nuovo alla luce. Sono all’uscita della galleria, alla deviazione per i Bagni Vecchi.
La sagoma umana che credevo di aver intravisto dalla curva della Fontanecia è scomparsa o almeno io non l’ho più vista. Sarà sceso verso i Bagni, mi dico.
Salita allo Stelvio (parte VII) – testo romanzato di Stefano Bedognè
Nota dell’autore: A causa dell’isolamento da Covid19 non è stato possibile recarsi sui luoghi descritti per fare fotografie da allegare al racconto. Tuttavia è stata introdotta una validissima alternativa. Cliccando sui toponimi indicati in grassetto (nel testo) si apre il link a google street view. In quella scheda il lettore potrà visualizzare a 360 gradi il punto che si sta raccontando.
N.B. Le traduzioni dal dialetto alla lingua italiana non sempre sono possibili o, per meglio dire, spesso hanno significati ambigui e differenti. Vanno quindi intese nel loro contesto e sopratutto valutate per il loro toponimo più che per il loro significato letterario.
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