Adele e Fortunato

Premessa

“Caratteristiche: chi ha nome Adele ha una personalità capace di donare felicità a chi le sta vicino, è generosa, disponibile nei confronti del prossimo e sempre pronta a soccorrere i più deboli. Di origine germanica vanta un significato nobile.”. Mai come in questo caso la locuzione latina “nomen omen”, il nome è un presagio, è appropriata perché alcuni tratti sono perfettamente riscontrabili nella protagonista che queste note vogliono raccontare a quanti non hanno avuto la fortuna di conoscerla e ricordarla a quanti, al contrario, hanno lungamente beneficiato della sua vicinanza.

Adele Mevio

Adele nasce il 29 dicembre 1920 ai Magatei, minuscola frazione di Piatta di Valdisotto. Con i genitori, la sorella Mariuccia e i fratelli Giulio e Attilio, nei primi anni ‘30, si trasferisce a Bormio dove frequenta la scuola secondaria che termina nel 1938 con la qualifica di “Avviamento professionale a tipo industriale femminile”.

In quegli anni tutti contribuiscono al sostentamento della famiglia e Adele, mentre impara il mestiere di sarta, fa anche lavori stagionali al rifugio V° Alpini che in quegli anni veniva periodicamente rifornito a dorso di mulo.

Con la qualifica di sarta lavora anche nel Cantone San Gallo, in Svizzera, in una fabbrica di pizzi. Successivamente trova occupazione nei rinomati alberghi di Ascona, sul Lago Maggiore in Svizzera, dove ha modo di incontrare l’uomo che dopo la guerra sarebbe divenuto suo marito.

Fortunato Mevio “Attilio”

Il 4 aprile 1912 nasce Fortunato, secondo di quattro tra fratelli e sorelle e figlio di un calzolaio originario di Valdisotto trasferito ad inizio ‘900 a Graglio di Veddasca, frazione di Maccagno, sul Lago Maggiore.

Già da adolescente, fa la gavetta negli alberghi rivieraschi del Verbano e successivamente nei più rinomati alberghi d’Italia e Svizzera.

La cartolina rosa lo chiama al servizio militare dove è inquadrato nel IV° Alpini, Battaglione Intra. Con le stellette gli tocca in sorte anche la campagna di Albania.

Dopo l’armistizio segue la sorte di numerosi soldati Italiani ed è internato in Germania nei campi di lavoro come prigioniero di guerra.

Alla fine del conflitto, benché provato nel corpo e nello spirito, può fortunatamente tornare a “baita”.