Salita al Passo dello Stelvio (parte undicesima)
– Dalla galleria del Diroccamento al Tornachè de Scandola
– dalla Galleria del Diroccamento al tornante di Scandola
Tra tutte le gallerie della strada dello Stelvio quella del Diroccamento è sicuramente la più emblematica. Incredibilmente basso, per decine di anni questo stretto budello è stato un vero e proprio regno dell’oscurità e, anche se l’illuminazione di oggi porta la necessaria sicurezza e mostra ai passanti dettagli quasi invisibili fino a pochi anni or sono, forse in parte ne toglie anche quel suo antico fascino primordiale e quella fanciullesca illusione di un viaggio al centro della terra.
In questo strano giorno osservo per la prima volta come la galleria non sia interamente scavata nella montagna ma, al contrario, come questa sia in larga parte costruita a protezione della strada. Sul finire della curva sinistrorsa che caratterizza questo tunnel, malgrado la potente illuminazione artificiale, è la luce del giorno proveniente dall’uscita a catturare e abbagliare lo sguardo. All’esterno, ad attenderci, non c’è il sole ma una fredda luce bluastra.
«Giovanni! Come mai sei cosi pensieroso e silenzioso stamane? E si che ti conosco come una persona che non ha difficoltà nel parlare con gli altri.»
Le parole di Silvano, impregnate dell’ormai familiare tonalità pacata e suadente, mi lasciano perplesso ma allo stesso tempo incuriosito e sorpreso. Ogni volta che il vecchio mi parla o mi fissa, una forte e inspiegabile energia mi attira a sé. Come le altre volte non comprendo il motivo delle mie sensazioni ma sento che in ogni occasione quello strano ometto cerca di scavarmi dentro.
«Cosa vuole che le dica Silvano, a volte pagherei per fermare i miei pensieri ma non ne sono proprio capace. » Rispondo accennando un sorriso.
« Pensieri. Interessante. Ora a cosa stai pensando? »
« A dire il vero a tutto e niente. Penso un po’ alla strada e un po’ alla mia vita. Penso anche alla maschera da lei accennata. Pensieri senza capo né coda. E lei, se posso chiedere, a cosa sta pensando? »
« A nulla. Generalmente preferisco osservare e ascoltare. Curioso attentamente i pensieri degli altri e resto pazientemente a vedere come questi sfumeranno, evolveranno o verranno messi in pratica. »
« In che senso? Come fa a vedere i pensieri degli altri? »
« Mi basta osservarli e ascoltarli. »
« Bah, se lo dice lei… »
« Non mi credi? »
« Non la conosco e non sta a me giudicare. Credo tuttavia che sia molto difficile capire cosa passi nella testa degli esseri umani. Ci sono persone oneste e trasparenti cosi come persone false, tanto brave a mentire da riuscire a ingannare anche sé stesse. »
« Oh! Quelli sono i miei preferiti. Comunque in parte hai ragione tu, anche se il trucco sta nell’osservarli a lungo. Sia nelle intenzioni, sia nelle azioni. Fino ad oggi, credo di non essermi mai sbagliato. »
« Beh, suona un po’ presuntuosa la sua affermazione, non le pare? »
« Può essere. Ma è cosi. Qualora mi sbagliassi ti prego di farmelo notare. »
« Se ne avrò l’occasione sicuramente lo farò, glielo prometto. Ma non crede sia sbagliato stare in disparte a giudicare gli altri? »
« Ma io non li giudico. Chi lo ha detto? Io li osservo e li ascolto! Non mi interessa giudicare i viventi. Considero con attenzione i loro pregi e difetti e ne faccio tesoro per migliorare me stesso. C’è fin troppa gente che giudica, a me non interessa. »
« Ah su questo le do perfettamente ragione. Viviamo in un tempo dove ognuno crede di poter liberamente giudicare gli altri e il loro operato. L’era della recensione facile dove in troppi diventano giudici integerrimi delle vite e delle azioni altrui.»
« Eh beh caro Giovanni, sai anche tu quanto sia più facile vedere la pagliuzza nell’occhio del vicino piuttosto che la trave nel proprio.»
« Silvano, comincia ad andare sulle citazioni evangeliche! Mi devo preoccupare?»
« Preoccupare? E perché mai? Le citazioni sono citazioni. A me piace usare esempi e aforismi perché spesso aiutano a capire meglio il senso delle cose. Ma perché preoccuparsi? A meno che tu non abbia paura di smuovere le acque più profonde del tuo animo.»
« Ok, adesso sono ufficialmente preoccupato.»
E in realtà preoccupato lo sono veramente. Non tanto per le parole dell’uomo ma quanto per la pazzia di questa strana situazione. Nuovamente sono a chiedermi chi sia questo strano personaggio? Cosa voglia da me? Perché mi parla come se mi conoscesse da sempre? Non è spregiudicato, superficiale o invadente come certi uomini particolarmente stupidi o curiosi dei fatti altrui ma, allo stesso tempo, è indubbiamente diretto e senza filtri.
All’uscita della galleria una fredda brezza termica ci colpisce frontalmente. Il forte contrasto di luce, tra l’ombra del nostro versante e le assolate pareti rocciose e ghiaiose del lato opposto, fa sembrare questo tratto di strada ancor più buio di quello che è realmente. Poche decine di passi in silenzio e siamo nuovamente in un tunnel, la galleria del Restel. A sopraffare il silenzio questa volta non è il gracchiare delle parole ma il roboante scroscio dell’acqua. Sembra folle parlare dello scorrere dell’acqua all’interno di una galleria ma qui è proprio cosi. Al centro del tunnel, nella sua marcata curva verso sinistra, l’acqua scorre con impeto sopra e sotto l’involucro realizzato dall’uomo. Dalle finestrelle poste a bordo strada si possono vedere sulla destra l’acqua che scivola prima di passare sotto il manto stradale e sulla sinistra la cascata d’acqua che precipita dopo essere corsa impetuosa sopra il soffitto. Il frastuono è immenso. All’uscita della galleria mi sporgo all’esterno del muraglione di sostegno per guardare dal di fuori questo suggestivo spettacolo, l’ennesimo colpo di genio del Donegani.
Silvano non si è fermato e, costante, ha continuato del suo passo. Mi procede di poche decine di metri e sembra stia guardando in alto in direzione dell’erbaceo versante dei tornanti di Spondalonga.
All’altezza del Galierat, l’antica e non più presente tettoia in legno a protezione della strada, l’ho quasi raggiunto. Questa volta però decido di rallentare per tenermi qualche passo più indietro. Preferisco restare un po’ solo, tra i miei pensieri. Guardo le rocce strapiombanti che anticipano la Terza galleria e con la testa persa chissà dove mi ridesto che ormai è già alle spalle anche la Quarta galleria. Per alcune centinaia di metri ho camminato come fossi in sonnambula. Sveglio ma completamente assente, leggero nel pensiero e nell’animo. Non so dire a cosa stessi pensando, forse non pensavo proprio a nulla ed è questo a sorprendermi maggiormente.
Tra il Pont del Roncoron e l’ Ultima Galleria il turbine di pensieri che avvolge la mia mente torna a ruotare attorno all’ultimo scambio di parole che ho avuto con Silvano. Lui dice di osservare, ma senza giudicare. Sarà veramente possibile? E io cosa faccio? Osservo o giudico? Bella domanda. Certamente non mi piace essere giudicato, soprattutto quando ciò avviene con cattiveria o superficialità. Ma io stesso come mi comporto? Quante volte ho giudicato senza conoscere? E quante volte ho cambiato il mio primo giudizio?
Con questi pensieri nella mente decido di aumentare il passo per tornare dal vecchio. Dopo pochi minuti, al centro dell’ultima galleria e proprio sotto le gocce d’acqua che la contraddistinguono, raggiungo il mio compagno d’avventura.
« Posso chiederle una cosa?»
Silvano si volta e mi lancia un sorriso. Le profonde rughe del volto esaltano la lucentezza degli occhi che, anch’essi sorridenti, brillano di una luce indescrivibile.
«Certo caro, dimmi.»
«Come si fa a non giudicare? Tutti giudicano. Più o meno consapevolmente ma tutti lo fanno.»
«E poi?»
«E poi niente, spesso continuano sulla loro strada come se niente fosse.»
«E allora a cosa è servito giudicare? Che senso ha? Intendiamoci, non si tratta di dover giudicare ciò che è bene e ciò che è male. Su questo anche io sono un giudice inflessibile. Quando ti dico che io non giudico mi riferisco a ciò che è inutile giudicare.»
«Cosa intende per inutile?»
«Potrebbero necessitare milioni di parole per cercare di descrivere in maniera seria e approfondita la differenza tra un giudizio utile e un giudizio inutile. Potrei dirti che giudicare inutilmente è un giudizio che fa del male agli altri, un pensiero che può segnare la vita altrui ma non porta frutto, tanto al giudicante quanto al giudicato o alle loro rispettive azioni. Il giudizio poi a cosa è riferito? All’essere umano, al suo essere, al suo apparire, alle sue azioni, alle sue scelte o a tutte queste cose messe insieme?»
«Oh mamma mia. Ci stiamo lanciando in un discorso forse un po’ troppo complicato.»
«Un discorso senza grandi vie d’uscita o verità assolute, oserei dire. Ma la tua risposta d’istinto qual’è?»
«D’istinto le direi che anche io non giudico. Ma se mi fermo anche solo un attimo a pensare non so quanto questo sia vero. Ad esempio, guardando a queste nuove reti para massi posizionate qui sopra non posso non dare un giudizio negativo. Queste sono inequivocabilmente una schifezza, una violenza al paesaggio e alla storia di questa strada. In questo caso, io sto indubbiamente dando un giudizio.»
Sopra di noi, oggetto delle mie parole e distanti poche decine di metri, incombono le grandi ragnatele d’acciaio realizzate a seguito della caduta di grossi massi nella tarda estate 2019. Più o meno nella stessa zona, fino a qualche decennio fa, si trovavano la strada e il suo Tornachè Alt (tornante alto) e, sempre in quell’area, cosi come in altre zone soggette a possibili movimenti valanghivi e di caduta massi, negli anni immediatamente successivi all’apertura della strada furono realizzate alcune tettoie in legno a protezione del manto stradale e dei viaggiatori. Quelle interessanti opere, oltre che utili, dovevano pure apparire particolarmente affascinanti in quanto furono ben rappresentate dai pittori viaggiatori dell’epoca, artisti che passavano per queste valli e che, come faremmo noi oggi con la macchina fotografica, immortalavano su carta la grandiosità del percorso e del suo ambiente naturale. Oggi però, guardando alle nostre opere e ricordando il passato, credo che quegli artisti abbasserebbero sommessamente lo sguardo a terra e aumenterebbero il ritmo per passare oltre.
«In questo caso anche io non posso fare a meno di osservare come quest’opera, senz’altro utile per proteggere il transito, sia orribile in questo splendido contesto ambientale e storico. Ma, partendo da questo tuo giudizio, tu cosa stai facendo? Cosa stai giudicando?»
«La bruttezza di quelle reti, credo.»
«E cosa pensi di chi ha progettato e realizzato l’opera?»
«Credo sia meglio che non mi esprima.»
«Quindi chi stai giudicando? Le reti? L’opera nel suo complesso? I progettisti? Chi l’ha voluta o chi l’ha realizzata?»
«O mamma mia Silvano. Lasciamo perdere.»
«Ed ecco che il tuo giudizio si dimostra inutile, senza frutto.»
Inutile, senza frutto. Si parla del mio giudizio ma lui cosa fa? Proprio lui che dice di starsene sempre in disparte a guardare gli altri?
Nel frattempo anche il ripido pendio della variante che precede il tornante di Scandola è ormai alle spalle. Passata la curva, per la prima volta il nostro sguardo cade sul profondo canyon che ormai da alcuni chilometri stiamo risalendo. La prima Cantoniera da qui non è visibile ma i grandi cavi elettrici e la linea della strada mi aiutano ad immaginarla oltre il dosso là in fondo alla valle. Sulla destra, le sponde del monte Radisca e quel poco che rimane del torrente Braulio dopo esser stato drenato dalle briglie di a2a, sono ormai a sole poche decine di metri di distanza. Sembra quasi di poterle toccare con mano. Seppur sempre con gli stessi protagonisti d’ambiente, il paesaggio è nuovamente e profondamente cambiato.
Salita al Passo dello Stelvio (parte XI) – testo romanzato di Stefano Bedognè
Nota dell’autore: A causa dell’isolamento da Covid19 e della chiusura invernale della strada, non è stato possibile recarsi sui luoghi descritti per fare fotografie da allegare al racconto. Tuttavia è stata introdotta una validissima alternativa. Cliccando sui toponimi indicati in grassetto (nel testo) si apre il link a google street view. In quella scheda il lettore potrà visualizzare a 360 gradi il punto che si sta raccontando.
N.B. Le traduzioni dal dialetto alla lingua italiana non sempre sono possibili o, per meglio dire, spesso hanno significati ambigui e differenti. Vanno quindi intese nel loro contesto e soprattutto valutate per il loro toponimo più che per il loro significato letterario.
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