Salita al Passo dello Stelvio (parte nona)

Il pontino di legno sul torrente Braulio

Un uomo mascherato? L’affermazione del vecchio mi ha decisamente colto alla sprovvista. Mai avrei immaginato una simile risposta. Completamente inebetito, con la scusa di guardarmi intorno alla ricerca del misterioso uomo, provo a fuggire dai magnetici occhi indagatori di Silvano. Guardo ovunque con profonda attenzione. Provo a scorgere la maschera tra le macerie della casa cantoniera, tra quei muri che se potessero parlare chissà quante storie avrebbero da raccontare. Ci potrebbero narrare ad esempio la storia di Pietro Pedranzini, l’eroe bormino che con un pugno di garibaldini fece arrendere una intera compagnia di soldati austriaci, oppure, decine e decine di avventure e aneddoti di cantonieri, rotteri, carrozze, cavalli, pellegrini, artisti, soldati, regine e imperatori. Ma adesso, purtroppo, sono solo un cumulo di sassi abbandonati. Tra quelle mura un tempo ricche di vita ora regnano solamente abbandono, tristezza e oblio.

Ho cercato ovunque ma, vicino a noi, nulla segnala la presenza di altri uomini all’infuori di me e Silvano. Nessun rumore, nessun movimento, nessuna ombra, nessun colore. Tutto è immobile. Anche gli occhi attenti del vecchio sembrano pietrificati. Da quando egli mi ha dato quella strana risposta, le sue pupille non hanno mai smesso di fissarmi.

Dica la verità Silvano, si sta prendendo gioco di me? Qui ci siamo solo noi due.”

Non mi prenderei mai burla di nessuno.”

Suvvia. Sono assolutamente certo che non ci sia nessun’ altro nei paraggi.”

Su questo, caro figliolo, concordo pienamente.”

E quindi l’uomo mascherato dov’è? Non mi ha appena confermato che qui ci siamo solo noi due?”

Si caro, confermo che ci siamo solo noi.”

Il discorso sta prendendo una piega strana, quasi folle. Non capisco se l’uomo che ho di fronte scherza o è pazzo. Non c’è nessuna logica in quello che sta dicendo ma il quieto tono della voce, le parole quasi sussurrate e quello sguardo pieno di affetto mi riempiono di una strana serenità, di pace oserei dire.

Giovanni, sei sicuro di aver guardato dappertutto? Ti ho osservato con profonda attenzione e ti ho visto cercare verso il ponte, lungo i profili rocciosi del ruscello e ai margini della mugheta. Hai cercato l’uomo di cui ti ho parlato tra quel che resta della casa cantoniera, sulla strada verso monte, sul sentiero che scende per campo dei fiori. Hai strizzato gli occhi ovunque per scovare quella maschera. Ma ti assicuro che c’è un posto dove non hai assolutamente cercato.

Quale?” lo interrompo bruscamente.

Non hai chiuso le palpebre per cercare in te stesso. Sei tu, amico mio, a indossare una maschera.”

Le parole di Silvano, pronunciate con l’ormai abituale tono dolce e pacato, mi hanno trafitto come una pugnalata. Mentirei dicendo di non aver già pensato che stesse parlando di me. Probabilmente ho preferito fingere di non capire. Volevo fuggire da quella risposta che, anche se ipotizzavo, certamente temevo. In fondo questa camminata l’ho intrapresa proprio per riuscire a guardarmi dentro. Ma si sa, a volte il coraggio dell’azione si mantiene ben distante dalla apparente semplicità dell’intento.

Con le sue parole, il mio compagno di cammino non mi sta raccontando nulla di nuovo o completamente inaspettato. A lasciarmi sgomento e’ il fatto che me l’abbia sbattuto in faccia. Senza nessun preambolo o giro di parole mi ha schiaffeggiato l’anima. E lo ha fatto con la massima serenità e scioltezza.

Mi chiedo il motivo per cui quello sconosciuto ha deciso di parlare della mia intimità, ma non riesco a darmi risposta. Perché ha usato la metafora della maschera? Queste domande e questi pensieri mi imbarazzano e mi tormentano. Credo che raramente mi sono sentito vulnerabile come in questo istante.

Abbasso lo sguardo e mi rimetto in cammino. Ho assolutamente bisogno di fuggire da quell’uomo e dai suoi occhi indagatori. Temo profondamente una sua qualsiasi nuova parola. Ho assolutamente bisogno di riprendermi e darmi il tempo di ricostruire le mie difese.

Rallenta Giovanni, ti prego. Ti assicuro che di me ti puoi fidare. Non aver timori. Ricordi in quante occasioni sei sceso lungo questo sentiero per raggiungere il ponticello sul torrente Braulio? Io ho perso il conto delle volte in cui ti ho incontrato laggiù. Me ne stavo nascosto e ti studiavo mentre tu eri tutto perso con lo sguardo rivolto verso l’alto, verso le strapiombanti pareti di Pedenolo e di Radisca.”

Una nuova inquietudine mi pervade. Un gelido fulmine mi inchioda sul posto. Mi volto. La muscolosa mano del vecchio sta indicando il sentiero di Campo dei Fiori. Silvano ha ragione, quel sentiero l’ho percorso decine di volte nel tratto tra la prima cantoniera e il torrente. Sono solo alcune centinaia di metri con pochissimo dislivello. Spesso, nei caldi pomeriggi estivi, quando non posso permettermi il lusso di lunghe passeggiate, vado laggiù a godermi un po’ di pace e solitudine. Parcheggio lì, di fronte ai ruderi, attraverso la strada e in pochi minuti scendo fino alla passerella di legno. Là in fondo, nella più completa solitudine, non mi è mai mancata occasione di restare rapito dall’immensa grandiosità di quel luogo selvaggio. Ogni volta mi smarrisco tra il roboante fragore del fiume e la tagliente luce pomeridiana, quella luce magica e calorosa che nella sua fase calante illumina di tinte arancioni la cupa e stretta valle. E poi laggiù c’è la vertigine. Una vertigine assoluta. Quello è uno dei pochissimi luoghi al mondo nel quale ho potuto osservare un paesaggio con il cielo cosi piccolo. E’ come sentirsi all’interno di un grande imbuto con montagne di oltre tremila metri su tutti i lati. Forse solo nelle gole croate del parco di Paklenica, ai piedi dell’ Anika Kuk, ho provato lo stesso senso di disorientamento guardando verso l’alto. Son convinto che laggiù ogni uomo possa prendere coscienza della sua impotenza di fronte alla grandiosità della natura.

E lei come fa a saperlo?” chiedo a Silvano con voce quasi tremante.

Te l’ho già detto. A me piace osservare.”

Lei mi spaventa signore. Come è possibile che lei sa queste cose di me mentre io sono certo di non averla mai incontrata in questi luoghi?”

Se è per questo non ti devi preoccupare. Nemmeno immagini quante persone mi ignorano mentre li osservo.”

Non capisco, cosa vuol dire?”

Dico solo che a volte si può esser ciechi anche se si è dotati di un infallibile vista. Un po’ come è capitato a te pochi istanti fa. Ti faccio alcuni semplici esempi, aneddoti che mi sono capitati proprio lungo questa strada e, amico mio, ti posso assicurare che qualche volta è un vero e proprio spasso. Vedo ciclisti completamente rapiti dai freddi numeri dei loro computerini high tech di ultimissima generazione. Li vedo persi tra watt, pendenza e cronometro. Vedo motociclisti affrontare le curve come se fossero quelle di un circuito. Vedo automobilisti, su ricche supercar, colmi d’ebbrezza per il rombo delle loro potenti auto sportive. Per gli uomini che ti ho citato la strada dello Stelvio potrebbe anche essere su Marte. Non gli cambierebbe assolutamente nulla. Per quegli uomini l’importante non è la salita. Non importa la bellezza che c’è lungo il percorso. Contano solamente la meta e l’esaltazione della conquista. Possibilmente nel minor tempo possibile. A volte non si accorgono di me nemmeno se sono nel mezzo della strada. Non ti nascondo che qualche volta mi piacerebbe incontrarli su in cima, al passo. Mi piacerebbe avere l’opportunità e il coraggio di chiedergli se gli è piaciuto il grande lago che c’è a metà strada.”

Il grande lago?” Lo interrompo con tono e sguardo allibito.

Tranquillo Giovanni. Non sono impazzito. E’ una provocazione. Ma stai ben certo che se interrogassimo tutti quelli che passano, non sarebbero in pochi a rispondere dubbiosamente.”

Sorrido, forse Silvano non ha tutti i torti.

Però dai, non sono tutti cosi. Ci sono anche molti sognatori.” Aggiungo io.

Certamente. Per fortuna non sono tutti marziani persi nel loro microcosmo. Ci sono anche quelli che impiegano un giorno intero per salire. C’è chi si ferma in continuazione ad ammirare il paesaggio. C’è chi fa fotografie. C’è chi, in sella alla sua bicicletta, arranca fin dalle prime pendenze. Quelli sono i miei favoriti. Passo ore intere ad osservarli. Li darei per spacciati già dalle prime curve fuori Bormio. Poi li rivedo chilometri più avanti. Con caparbietà e sofferenza avanzano pedalata dopo pedalata fino al passo. Ammiro questi uomini per il coraggio e la determinazione con cui affrontano la salita. Credo che qualcuno di essi salga al giogo più a spinta che a pedali. Amico mio, ti assicuro che questa non è solo una strada. Questa lingua di asfalto è un teatro a cielo aperto. Basta solo stare ad osservare.”

Capisco ciò che dice. Anche io in più di una occasione ho notato quello che mi sta raccontando. Ma questo cosa c’entra con me? Cosa c’entra con la maschera che secondo lei indosso?”

Ti assicuro figliolo che prima di lasciarci avrai la tua risposta. Ma ora per piacere rimettiamoci in cammino. Comincio ad avere freddo.”

Salita al Passo dello Stelvio (parte IX) – testo romanzato di Stefano Bedognè

Nota dell’autore: A causa dell’isolamento da Covid19 non è stato possibile recarsi sui luoghi descritti per fare fotografie da allegare al racconto. Tuttavia è stata introdotta una validissima alternativa. Cliccando sui toponimi indicati in grassetto (nel testo) si apre il link a google street view. In quella scheda il lettore potrà visualizzare a 360 gradi il punto che si sta raccontando. 

N.B. Le traduzioni dal dialetto alla lingua italiana non sempre sono possibili o, per meglio dire, spesso hanno significati ambigui e differenti. Vanno quindi intese nel loro contesto e sopratutto valutate per il loro toponimo più che per il loro significato letterario.

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